The Last Case of Benedict Fox – la recensione

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The Last Case of Benedict Fox, sviluppato da Plot Twist e pubblicato da Rogue Games, è un metroidvania che mescola elementi classici del genere, come esplorazione e sblocco di nuove aree tramite poteri, al genere puzzle. Il titolo è disponibile su PC tramite la piattaforma Steam e su console Xbox.

Provato su PC


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Bloccato nel Limbo

The Last Case of Benedict Fox, nella sua presentazione, vuole chiaramente richiamare alla mente del giocatore il visionario di Providence, lo stesso H.P. Lovecraft le cui idee seminali hanno ormai germogliato in tantissimi medium differenti, trovando terreno fertile specialmente nel mondo del gaming. È davvero impossibile contare tutti i prodotti che, anno dopo anno, affollano il panorama prendendo spunto dagli orrori cosmici descritti nei suoi racconti, tuttavia è altresì vero che non tutto ciò che prende spunto dallo scrittore sia pari o superiore ai lavori originali.

Proprio per la loro natura multisfaccettata, però, è possibile adattare le inquietanti visioni di Lovecraft a qualsiasi tipo di narrazione, includendone solo qualche dettaglio o spingendosi più in là e impiantando l’intero ciclo di Cthulhu nell’esperienza. Come già accennato The Last Case of Benedict Fox non rifugge il paragone, anzi lo espone direttamente, introducendo un protagonista, Benedict, come un investigatore posseduto da un’entità che potremmo definire senza dubbio “tentacolare”: il compagno.

La narrazione stessa del gioco cerca di prendere spunto dai racconti di Lovecraft. Il gioco è ambientato nel 1925 e il protagonista viene introdotto subito e senza troppe cerimonie, calandolo in un contesto di pericolo. Il suo scopo è quello di investigare sulla morte di una coppia all’interno di una magione, sfruttando propri i poteri che il compagno riesce a garantirgli. Grazie all’entità, Benedict può infatti calarsi nella mente dei deceduti: un mondo parallelo costituito da ricordi, anche conosciuto come il Limbo.

Gli orrori che Benedict affronta lo aiutano a svelare il mistero che si cela dietro la morte dei due, allo stesso tempo apprendendo informazioni sul misterioso culto religioso, l’Ordo Ira Dei, che da tempo è sulle sue tracce.

La presentazione globale del prodotto è di qualità e in generale si respira un’attenzione ai dettagli grafici, agli sfondi e persino gli stessi oggetti con cui Benedict interagisce. Questi presentano elementi di storia che possono essere analizzati dal menu principale oltre che un rendering tridimensionale che permette di ruotarli a analizzarli a piacimento, talvolta indispensabile per risolvere i puzzle che il gioco presenta.

Non dire Lovecraft se non ce l’hai nel sacco

Bisogna dunque, a questo punto, scindere necessariamente come il gioco appare e quello che vuole presentare, da ciò che realmente è. Durante tutta l’avventura, che ha una durata di circa 10 ore o poco più per chi vuole collezionare tutti gli oggetti e completare ogni singola sidequest, si avverte una sensazione di superficialità là dove sarebbe stato necessario porre maggiore attenzione.

Nello specifico, la scissione qualitativa che intercorre tra l’aspetto visivo e il gameplay è talmente dissonante da portare il giocatore a chiedersi cosa ci sia di sbagliato nel titolo, che, a prima vista, sembra molto curato.

Basta davvero poco, però, per sciogliere il proverbiale nodo gordiano, esponendo le falle tecniche di cui The Last Case of Benedict Fox è purtroppo colmo. Partiamo quindi con l’analisi del gameplay che potremmo definire costituito da tre fasi distinte: il combattimento, l’esplorazione con sezioni platform e i puzzle.

Fin dal risicato tutorial appare chiaro che il combattimento è estremamente legato, in alcuni casi con animazioni poco leggibili, soprattutto da parte degli avversari. La risposta agli input durante le sezioni più concitate non è immediata e talvolta capita di morire senza avere una vera e propria colpa. Inoltre, basta una caduta tra due o più nemici per rendere quasi impossibile la fuga dalla situazione, venendo sballottati a destra e a manca fino alla riduzione completa dei punti vita.

È chiaro che gli sviluppatori avessero in mente una progressione più metodica e attenta da parte del giocatore. Tuttavia l’incapacità di rispondere rapidamente alle situazioni, unita a hitbox di dubbia qualità, restituiscono un sistema eccessivamente farraginoso, ad alto tasso di frustrazione.

Passando all’esplorazione le cose non migliorano e le sezioni platform sono tutt’altro che divertenti, sostanzialmente per gli stessi motivi già citati: animazioni poco fluide, cali di frame rate ingiustificati, hitbox arbitrarie e input per niente puliti. In alcuni passaggi specifici, quando si viene bloccati in scene di inseguimento, ciò è molto più percepibile.

Se l’intento era quello di portare alla pazzia il giocatore, un po’ come avviene per molti protagonisti dei racconti di Lovecraft, allora è pienamente riuscito poiché The Last Case of Benedict Fox ha un gameplay ostico, ma per tutti i motivi sbagliati. E badate bene, non si tratta assolutamente di “difficoltà” poiché titoli con gameplay ben più complesso, come Hollow Knight, dimostrano che una migliore ottimizzazione dei dettagli porta a risultati completamente differenti, pur tenendo alto il livello di sfida.

Per quanto concerne infine le sezioni puzzle, presentano degli elementi comuni che, una volta compresi, risultano di facile soluzione. Alcuni di questi sono complessi e ingegnosi, senz’altro interessanti, tuttavia manca completamente un sistema di indizi che renda la comprensione di alcuni di essi un po’ più semplice.

The Last Case of Benedict Fox non tiene il giocatore per mano, e va anche bene così. Il problema è che passa da un eccesso all’altro: o presenta enigmi poco decifrabili oppure chiede al giocatore di far sì che questi si risolvano automaticamente con la pressione di un tasto (scegliendo l’opzione specifica nelle impostazioni si può dunque rimuovere qualsiasi sfida che i puzzle presentano).

Il caos, ma non è Azathoth

Sebbene io abbia presentato le sezioni di gioco in maniera distinta, di facile intuizione per il lettore, sappiate che il gioco non fa altrettanto e mescola tutto senza spesso permettere una comprensione di ciò che accade, degli oggetti con cui si interagisce, dei puzzle che risolvete o del perché lo facciate.

Tutto è nascosto e avvolto dietro un velo di mistero che, sebbene debba invogliare a saperne di più, rende l’esplorazione quasi priva di significato. Soprattutto nel momento in cui la trama non funge correttamente da collante. Di fatto, per procedere è talvolta necessario utilizzare un potere specifico del compagno o anche un oggetto, ma proprio come negli esponenti più classici del genere, come Metroid o Castlevania II: Simon’s Quest, non c’è niente che lo faccia supporre, a meno che non abbiate giocato davvero tanti ma tanti metroidvania.

Ci si ritrova a vagare nel Limbo, senza avere la più pallida idea di quale possa essere la propria destinazione, con un gameplay che avrebbe meritato un po’ più di attenzione. Ancora una volta, tutto confluisce nel restituire un’esperienza frustrante, con un combattimento poco entusiasmante e che, nonostante le parole degli sviluppatori puntino in un’altra direzione, non stimola minimamente a sperimentare i poteri del compagno.

A chi consigliamo The Last Case of Benedict Fox?

Alla luce di quanto espresso, è davvero difficile consigliare il titolo anche agli appassionati del genere poiché al di là della presentazione superficiale, The Last Case of Benedict Fox è carente in tutti i comparti in cui avrebbe invece dovuto eccellere. Il gioco è la prova lampante che non basta prendere a piene mani dalla mitologia di Lovecraft per costruire un prodotto credibile, ma soprattutto divertente.

Il prezzo è comunque basso, quindi se siete particolarmente curiosi, volete farvi del male e amate la frustrazione, allora procedete pure con l’acquisto (o il download, se avete una sottoscrizione a Game Pass). Quando al termine dell’avventura imprecherete come l’arabo pazzo Abdul Alhazred, però, non prendetevela con me.

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