The Last Worker è un gioco narrativo sviluppato da Oiffy e Wolf & Wood Interactive LTD, dove nei panni di Kurt dovremo lavorare come magazzinieri per la Jungle, una sorta di versione futuristica di Amazon, con tanto di inquietante capo alla Jeff Bezos che ci motiverà con discorsi passivo-aggressivi. Il povero Kurt però, nonostante sia “fidelizzato” alla sua azienda, resta l’ultimo dipendente umano attivo, in quanto il resto di Jungle è stato completamente automatizzato.
Il titolo è disponibile su PC Steam, Nintendo Switch, PS5, Xbox Series X dal 30 Marzo 2023, quindi questa recensione arriva con un ritardo siderale che posso giustificare solo perché, come Kurt, ho spostato una marea di pacchi per traslocare il mio sedere grinzoso da una casa all’altra.
Provato su PC
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Demanufacture
The Last Worker mette subito in chiaro il suo atto di denuncia sociale, con il protagonista vittima della Megacorporazione e del loop lavorativo, dalla quale non è riuscito a dimettersi anche dopo aver incontrato l’amore della sua vita e dopo che i dipendenti umani sono stati sostituiti con dei robot. Non ci vorrà molto per far entrare in scena i classici ribelli che arruoleranno Kurt tra le loro fila, per usarlo come sabotatore interno della malefica Jungle.
Soluzioni di regia e sceneggiatura suggeriscono subito un’esistenza in trappola, facendomi chiedere: “voglio giocare, o voglio una morale sullo sfruttamento del lavoro?” Non lo so, potrei andare alla CIGL e partecipare ad un comizio, invece di giocare a The Last Worker. Il gioco si propone come una finestra su un possibile (e anche probabile) prossimo futuro, dove l’automatizzazione arriverà a livelli tali da sostituire completamente la manodopera umana. Allo stesso modo, critica (a mio parere in modo un po’ sterile) il colosso dell’e-commerce, non riuscendo però a far vivere al giocatore quel senso di oppressione che dovrebbe sentire.
Forse la colpa va attribuita al comparto tecnico, perché a livello visivo, non definirei The Last Worker “bello” da vedere, ma neanche particolare. Le ambientazioni minimali si uniscono a una scelta di colori dalle tinte fredde e sbiadite, probabilmente per richiamare le atmosfere oppressive del titolo. Da apprezzare comunque l’uso del cel shading e lo stile da striscia satirica usato per realizzare i volti dei personaggi.
Il tutto, a conti fatti, non risulta però coinvolgente al punto giusto. Mi viene in mente l’ottimo Cloudpunk, dove sebbene il gameplay sia ai minimi storici, riesce comunque ad emozionare e coinvolgere, grazie all’ambientazione. Quella di The Last Worker è troppo vuota per poter trasportare il giocatore in un altro mondo e fargli vivere sulla pelle le sensazioni di Kurt. Non basta il suo volto stanco e barbuto visibile nella “cam” del muletto, a farci immedesimare.
Self Bias Resistor
Questo incrocio tra un film di Ken Loach e un libro di Philip K. Dick si dirama con un gameplay abbastanza scialbo e decisamente poco stimolante.
Nelle sessioni di lavoro, controlleremo Kurt e il suo muletto per prendere pacchi e spedirli, oppure etichettarli per il riciclo. I controlli risultano un filo legnosi, sia nel movimento, sia nell’interazione con gli oggetti. Ad esempio, raccogliere i pacchi, metterli sul muletto e poi lanciarli verso il tubo di spedizione o di riciclo diventa un’operazione molto tediosa, anche a causa di alcuni input non proprio a fuoco.
Capiterà spesso di lanciare un pacco per sbaglio e di non riuscire a riprenderlo. Ad aggiungere pepe, ci si mette anche una sorta di timer, unito a un sistema di voti, il tutto ovviamente fatto per trasmettere al giocatore l’ansia che probabilmente vivono anche i dipendenti Amazon.
Ora, tra una sessione di lavoro e l’altra, si affronteranno sessioni stealth, dove sarà necessario sabotare l’azienda, cercando di non farsi individuare dai robot che la pattugliano. Se Kurt viene scoperto, ecco che arriva la schermata del Game Over. Questo succede anche in alcune sessioni, come ad esempio una in particolare dove si dovrà gareggiare contro un robot, affinché Kurt mantenga il posto di lavoro. Il Game Over arriva sia se il robot va troppo in vantaggio, sia se si sbaglia strada.
Insomma, un design non splende proprio per fluidità. Il sabotaggio avviene tramite l’hacking di terminali che “in-game” si traducono in puzzle da risolvere, leve da girare e interruttori da premere… perdonatemi se non sono svenuto per l’entusiasmo.
A chi consigliamo The Last Worker?
Non so, personalmente The Last Worker mi ha annoiato sin dalla sua introduzione. Non riesco proprio a trovare un appiglio emotivo, in una storia trita e ritrita che si è già letta o vista in libri, film e giocata in altrettanti videogame in modo ben più dinamico e divertente (Oddworld: Abe’s Oddysee, per fare un esempio). Lo posso consigliare solo a chi davvero può reggere un tipo di esperienza narrativa e che magari valuta la qualità di un titolo in base a questo aspetto.
Chiaro, non è mia intenzione stroncare un lavoro che comunque fa una critica sociale, il problema è che si tratta sempre di un videogame e un videogame per me deve in qualche modo divertire, prima ancora che emozionare con la sua narrativa.
C’è qualcosa che salverei? Personalmente no, forse il doppiaggio e la scrittura complessiva dei dialoghi che danno vita ai personaggi. Poi ovviamente l’opinione di un redattore amatoriale come me è ancora più soggettiva di quella di un professionista, quindi forse The Last Worker si è trovato nelle mani della persona sbagliata. Ma così va il mondo, viviamo tutti con l’ansia di essere valutati e di avere dei risultati, proprio come il povero Kurt, intrappolato tra le mura della Jungle, in attesa di prodi giocatori come voi che magari apprezzate questo tipo di esperienze.