Una recensione caotica – Stranger of Paradise: Final Fantasy Origin

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Stranger of Paradise: Final Fantasy Origin è l’ultimo spin-off della serie Square Enix, sviluppato da Team Ninja e quindi con un’anima molto più spiccatamente action rispetto ai prodotti numerati del franchise. Un esperimento che ha sicuramente creato una frattura nel pubblico tra più e meno convinti. Cosa ne pensiamo noi? Beh, purtroppo dovrete leggere la nostra recensione per scoprirlo.

Stranger of Paradise: Final Fantasy Origin è disponibile per PlayStation 4, PlayStation 5, Xbox One, Xbox Series e su PC tramite Epic Games Store.

Provato su PC

PS4
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Chaos must die

Sembra quasi di sentirle, sì, sono proprio quelle voci distanti ma accorate che puntualmente chiedono: “ma posso giocare Stranger of Paradise senza aver mai toccato un Final Fantasy?”. Come il sottotitolo chiaramente riporta, qui ci troviamo di fronte a Final Fantasy Origin ma cosa questo voglia di preciso significare va scoperto e analizzato giocando il prodotto. In questa sede posso dirvi che il gioco è stato pubblicizzato come una re-immaginazione del primissimo Final Fantasy.

Chi non l’ha mai giocato può quindi saltare a bordo senza troppi dilemmi ma è chi ha avuto modo di sviscerare il primo capitolo che troverà volti noti e personaggi familiari, qui riproposti ancora una volta con una strizzatina d’occhio ammiccante. Se il primo JRPG targato Squaresoft proponeva però degli anonimi personaggi conosciuti come i Guerrieri della Luce, qui le cose prendono una piega diversa poiché tre ragazzotti senza arte né parte si uniranno al grido di: “Chaos deve morire!”.

Chaos è la nemesi, il male originario che Jack, Ash e Jed sentono di dover sradicare dal mondo intero affinché tutti possano vivere allegri e felici. Non ci si pone troppe domande, non ci si interroga sul perché sia nata questa malsana voglia ed è così che vogliamo i nostri giochi: ignoranti e senza troppi preamboli.

Per alcuni potrebbe trattarsi di una sceneggiatura “sloppy”, tirata per le orecchie e spalmata su un prodotto riempitivo, in attesa di Final Fantasy XVI, ma in realtà superando le prime ore di gioco che possono lasciare inebetiti, ci si trova davanti un grandissimo elogio alle origini dei JRPG. Un tempo bastava giungere in una città, scambiare due righe di dialogo con il regnante locale per poi lanciarsi in un dungeon alla ricerca di loot e nemici le cui budella andavano esportate rigorosamente a mani nude: la fantasia del giocatore aggiungeva il resto.

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Questo SoP ripropone proprio un’esperienza simile, in particolare con one-liners del protagonista che sono entrati subito nella macchina memificatrice che è l’Internet. Certo tutti amiamo una bella storia che si dipana man mano mentre si procede nell’avventura ma, che questa debba essere pretesa, quasi al pari di una conditio sine qua non, è un concetto da cui prendiamo le distanze.

Furioso Jack

La rabbia totalizzante del protagonista, riversata sulle povere bestie che popolano i dungeon, è palesemente ingiustificata agli occhi del giocatore ed è qui che risiede il bello dell’esperienza: ci si trova a vestire i panni di un personaggio la cui ira non ha senso alcuno. Perché dico il bello? Ma è semplice: la storia non ha alcuna importanza ed è il gameplay a farla da padrone.

Molte testate e colleghi hanno spesso paragonato questo Final Fantasy Origin a un “souls”, tanto ormai è di moda assegnare questa etichetta a qualsiasi prodotto che offra una meccanica di “parry” e un livello di sfida lievemente superiore al modello “autofinente” delle produzioni odierne. SoP ha però davvero poco dei souls ed è più paragonabile a un looter-slasher con una notevole possibilità di mix and match. Basti pensare all’impossibilità di perdere progressi quando si muore: cosa c’è di più lontano dal genere souls?

Il sistema di level up è legato al potenziamento dei singoli job che possono essere assegnati a Jack in numero di due alla volta, passando dall’uno all’altro durante il combattimento per creare sinergie e combo devastanti. La velocità che questo sistema crea è tale da divenire quasi assuefacente, spingendo poi a cambiare continuamente “mestieri” per divertirsi a dar vita alle più bizzarre combinazioni.

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Ricordate quando in un JRPG vi facevate strada in un dungeon per arrivare finalmente a un mitico scrigno del tesoro per tirare fuori un pezzo di equipaggiamento degno degli sforzi? Ecco, buttate tutto all’aria perché ogni volta che entrerete in un dungeon in SoP, ogni singolo mostro vi lascerà una quantità di equip tale da farvi tremare i polsi: centinaia e centinaia di pezzi di armatura e armi che si accumuleranno nel vostro inventario. Questo dovrebbe rallentare l’esplorazione, giusto? Sbagliato! Basta aprire il menu e premere il tasto dedicato per lasciare che sia il gioco a scegliere la migliore soluzione per la combinazione di job in uso.

Questa meccanica è chiaramente ideata per far sì che il giocatore non abbia nemmeno un secondo di tempo per pensare: entra, spacca, loota, equipaggia – ripeti fino alla fine dei tempi. E sì, può venire a noia, ma non per chi vuole solo premere pulsanti e vedere roba volare ed esplodere sullo schermo. Per i puristi c’è la possibilità di aggiungere un po’ di pepe modificando la difficoltà e spostandola un po’ più in alto, quindi se proprio ci tenete ad avere approcci un minimo più ragionati, non temete poiché tale possibilità è a vostra disposizione.

Una direzione artistica “chaotica”

Chaos è il perno su cui poggia l’avventura, ma non c’era bisogno che fosse anche il tema portante di ogni approccio allo sviluppo del gioco. Se finora ho avuto un approccio tutto sommato positivo nei confronti di Stranger of Paradise, alla luce della sua velocità ed energica ignoranza, nemmeno io posso difendere il lato tecnico e artistico del prodotto che, a onor del vero, sembra uscito da svariate generazioni fa.

La versione che abbiamo avuto modo di provare, quella per PC, è piagata da performance al limite del vergognoso, anche per computer che rientrano ampiamente nei requisiti minimi. Al netto dei singoli parametri modificabili, ci si ritrova a dover scegliere tra modalità Performance e Qualità, dove la seconda è talmente rotta da rendere il gioco tremendamente spiacevole alla vista e all’udito. Bene, allora si passa a Performance, magari per approfittare di un boost degli fps, no? Beh, diciamo che il boost c’è, peccato che poi diventi davvero difficile distinguere i nemici dallo sfondo a causa di un impastamento globale che non vedevo, personalmente, da quando nella prima decade del nuovo millennio frissi una delle mie vecchie GPU, e fui conseguentemente costretto a giocare con una scheda video integrata.

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Chi gioca su console di nuova generazione può tirare un sospiro di sollievo, poiché lì la situazione è leggermente migliore, anche se non c’è potere computazionale che possa innalzare la direzione artistica che rasenta qui minimi storici. Stranger of Paradise non ha nulla di ciò che Final Fantasy ha sempre incarnato ed è, chiaramente, un’operazione volta a dare una rinfrescata a un brand che forse, al di là di capitoli classici come Final Fantasy VII, sta perdendo via via il suo smalto. Il risultato? Un tuffo in acque torbide.

A chi consigliamo Stranger of Paradise: Final Fantasy Origin?

I fan della serie Final Fantasy probabilmente resteranno di stucco, a metà tra pietrificati e confusi, quindi potrebbero non essere il target adatto per Stranger of Paradise. Chi preferisce gli action senza impegno e vuole un titolo da consumare senza porsi troppe domande, allora riuscirà a tirar fuori da SoP un po’ di divertimento, alla luce di un job system azzeccato, veloce e assuefacente. Perfetto se avete altri due amici ignoranti tanto quanto voi con cui affrontare l’avventura.

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