Psycho Dream, titolo sviluppato e pubblicato da Riot (branca interna della defunta Telenet) nel 1992 per Super Famicom, arriva ancora una volta in occidente, stavolta grazie a Ratalaika, che ne cura il port Switch per Edia. Vale la pena cimentarsi in un vecchio platform? Scopritelo nella recensione.
Provato su Nintendo Switch
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D-Movies for the junkies
Psycho Dream è un platform a scorrimento laterale suddiviso in sei livelli differenti, nulla di particolarmente innovativo oggi, chiaramente, ma nemmeno per l’epoca. Questo è forse uno dei motivi per cui una iniziaale traduzione per il territorio occidentale fu cestinata, anche a seguito di recensioni decisamente poco entusiasmanti. Vale la pena aggiungere, però, che Psycho Dream è arrivato poi, sotto forma di titolo emulato grazie alla sottoscrizione Nintendo Switch Online ma solo per il territorio nord-americano. Quindi per i lettori italiani non cambia assolutamente niente: per provare Psycho Dream in maniera legittima non avete altra strada che il port di Ratalaika, disponibile su Switch dal 5 settembre.
Se il platforming non è dei migliori e le hit-box fanno un po’ quello che vogliono, Psycho Dream resta molto affascinante, soprattutto per quanto riguarda la storia, per nulla accennata nel gioco ma che si riflette nella costruzione dei livelli e nell’avanzamento che culmina in un boss finale sulle note di una versione chiptune dell’Ave Maria di Schubert.
La storia è ambientata negli anni ‘90 a seguito di eventi accaduti nella decade precedente. In Giappone inizia a emergere una nuova forma di intrattenimento denominata “D-Movies”, delle realtà virtuali simulate in cui è possibile vivere esperienze realistiche. La cosa però sfugge di mano e sono sempre i più i giovani che decidono di rifugiarsi in questi nirvana tecnologici, a detrimento del proprio corpo fisico che va in stato di vegetazione. Per porre un freno a questi eventi, l’ente governativo giapponese Kokka Koan Iinkai, ovvero la Commissione nazionale per la pubblica sicurezza, stabilisce un corpo d’azione elitario chiamato Koan Yonka, la divisione pubblica numero 4, costituita da agenti che si possono calare in questi mondi virtuale e salvare chi vi si è rintanato.
Salvare Yuki Sayaka
Gli eventi si svolgono nel 1992, quando la giovane Yuki Sayaka si cala in un D-Movie. Prima che sopraggiunga la morte, i due agenti Ryo Shijima e Maria Tobari si calano nel D-Movie per salvarla. Il giocatore inizia proprio da qui, potendo scegliere tra uno dei due personaggi per portare a termine l’avventura.

Sebbene gli sprite di Ryo e Maria siano differenti, le modalità di attacco risultano molto simili. Per sconfiggere i nemici avranno a disposizione una spada (il primo) e una frusta (la seconda). I mostri che si incontrano nel D-Movie sono generalmente variegati e si va da strane lumache a minacciosi uccelli, ma anche api grandi quanto una moto e strane teste volanti, un repertorio tutto sommato standard. Sconfiggendoli possono lasciare dei diamanti colorati: trattasi di potenziamenti per l’arma di attacco, salute aggiuntiva o anche un’arma alternativa in grado di sparare laser.
Si inizia come spesso accade su tetti di palazzi con una skyview di una megalopoli, richiamo all’immaginario cyberpunk che fa da tessuto per la storia narrata, ma si passa poi a cunicoli sotterranei e strutture biologiche man mano che si affonda nella psiche della giovane Yuki Sayaka.
L’aspetto visivo è tutto sommato piacevole anche se non troppo pulito e i personaggi si controllano bene. Ciò in cui si riscontrano limiti veri e propri è nelle hit-box già accennate. Gli attacchi dei personaggi hanno un range molto ridotto e spesso bisogna avvicinarsi più di quanto si vorrebbe ai nemici, rischiando il contatto e perdita di energia. Anche quando si acquisisce la pistola laser, però, la siituazione non cambia e bisogna allineare perfettamente lo sparo allo sprite del nemico che, se immobile, non crea troppi problemi, ma quando è in movimento (come nella maggior parte dei casi) può diventare ben presto un incubo.
Non aiuta che il gioco imponga limiti di tempo per portare a termine gli stage (in riferimento alla trama di poc’anzi ha un suo senso, tutto sommato), quindi spesso la strategia migliore è ottenere velocemente i power-up desiderati e poi ignorare i nemici e correre a perdifiato per raggiungere la schermata successiva senza troppi danni collaterali.

Le musiche, per quanto chiptune, sono molto azzeccate e creano quella giusta atmosfera inquietante che fa da ottimo contorno. Il gioco può essere inserito nella corrente dark fantasy/horror/cyberpunk che andava per la maggiore in Giappone tra gli anni ‘80 e ‘90, con esponenti di spicco come i film di Yoshiaki Kawajiri (Wicked City e Demon City Shinjuku vengono subito alla mente, entrambi tratti dai romanzi di Hideyuki Kikuchi) e chiaramente anche in ambito videoludico con la serie Shin Megami Tensei di Atlus.
A chi lo consigliamo?
Psycho Dream: Se la carrellata di media simili che ho avuto modo di citare rientra nelle vostre corde e siete fan di quell’estetica, allora questo titolo può essere una valida aggiunta alla vostra collezione. D’altronde, il prezzo è veramente contenuto come spesso accade con i port Ratalaika. Non si tratterà del gioco più emozionante che abbiate giocato, né di quello più lungo o complesso, ma tutto sommato, per il retrogamer che scava a fondo, può essere una bella gemma su cui passare un pomeriggio. – 7gatsu




