Denjin Picks è la rubrica dove vogliamo convincervi a provare quei videogiochi poco fortunati perché brutti, sconosciuti o dimenticati. Noi difendiamo i più deboli e i brutti perché a volte sono belli dentro! (Tante altre volte manco quello)
Pro | Contro |
+ Duelli carichi di tensione | – Sistema di combattimento ostico |
+ Rigiocabilità pressoché infinita | – Eventi alla lunga ripetitivi |
+ Vi sentirete un vero ronin |
Nel 2017 la sconosciuta Super Legit Games rilascia un giochino prodotto sicuramente con due soldi, frutto degli incubi di un programmatore denutrito che prova a fare miracoli per ricevere almeno gli scarti di cucina del cinese all’angolo come paga settimanale. Riuscendoci solo a metà. Shigatari non è un brutto gioco ma, sempre che non siate dei pervertiti come il sottoscritto, non riuscirà a allettarvi al punto di arrivare a svelare la sua, ben celata, bontà. Dalla sua presenta una scelta estetica azzeccata nella sua sobrietà, utilizzando illustrazioni tradizionali che immergono nell’austero medioevo nipponico ma il sistema di combattimento poco intuitivo e la crudele difficoltà del gioco nel suo insieme rappresentano uno scoglio iniziale davvero ostico da digerire. Ho dovuto faticare, testardo come un equino sterile, incazzarmi come un criceto su una ruota quadrata, lanciare improperi inenarrabili alla luna piena. Perché l’idea di fondo è dannatamente buona. Percorrere le gesta di un samurai incompetente che si trova infine a quel punto della carriera in cui il fondo lo hanno già grattato i suoi antenati, cui restano quindi due possibilità: seppuku e crepi l’avarizia o rimbocchiamoci le maniche e diventiamo i più grandi spadaccini dell’arcipelago. O morire con onore provandoci e se manca anche l’onore c’è sempre seppuku.

Che roba è?
Shigatari è un rogue-like che fa l’occhiolino al ben più riuscito FTL: Faster Than Light (che se non avete mai giocato andreste fustigati sui malleoli con fusti di acacia in salamoia). Vostro scopo è percorrere ognuna delle sette regioni generate casualmente e giungere nei dojo in cui risiedono gli indiscussi maestri delle sette discipline della celebre lama orientale; di queste due sono puramente inventate mentre le rimanenti sono rappresentate dalle cinque posture o guardie (kamae) che se avete fatto kendo come me conoscete bene. Ricorderete anche il maestro che vi seviziava con lo shinai se non restavate esclusivamente in chudan, voi gli rispondevate -Allora perché mi insegni le altre che poi mi vien voglia? E’ troppo figo stare in judan!– e lui vi percuoteva in sedicesimi come un tamburo birmano. Bene, ricordate gli insegnamenti del vostro sensei e restate in chudan finché non vi sarete impratichiti un po’. Esatto, come nella realtà. Se c’è una cosa che Shigatatri riesce a rendere dannatamente bene è l’ebbrezza che si prova nell’incrociare le punte delle spade e attraverso questo effimero contatto instaurare un dialogo col proprio avversario, intrecciando una danza di morte in cui il tempo si ferma. Eh, qui mi sono lasciato trasportare ma nessun altro gioco sui samurai mi ha fatto riprovare le emozioni del dojo, tanto da avere la voglia di imbracciare il bokuto da lungo tempo appeso al chiodo.

Hajime!
Il sistema di combattimento è (volutamente?) criptico e quando avrete appreso le meccaniche vi sentirete di aver mosso solo il primo passo lungo la via della spada. Gli scontri si svolgono a turni e sono decisamente tattici; agite senza sapere cosa state facendo (e sarà così per le prime ore di gioco) e verrete infilzati come un arrosticino di castrato. Il vero samurai colpisce quando sa di uccidere, infilandosi nella guardia avversaria con un solo battito di ciglia di vantaggio. Il giusto tempismo è fondamentale e ogni azione costa dei punti tempo oltre ad affaticare; intuire quando l’avversario colpirà e dove fornisce una stima approssimativa del tempo a nostra disposizione. Posso colpire un punto vitale abbastanza rapidamente da impedirgli il contrattacco? O forse è meglio prendere fiato e schivare all’ultimo fino a lasciarlo boccheggiante? Sono abbastanza forte da intercettare la lama con una parata o mi vedo costretto a lasciarmi ferire per superare la sua guardia? Capire punti di forza e carenze di chi si ha di fronte è una priorità e anche così nessun avversario va preso alla leggera. Un colpo ben mirato è letale.

Purtroppo la curva di apprendimento è severissima (SEVERISSIMA!) e gli eventi che scandiscono il viaggio diventano inevitabilmente ripetitivi, elemento in ogni caso comune in questo genere di giochi. Menzione d’onore al fatto che restituiscono una visione del Giappone di quel periodo stereotipata al punto giusto, senza tralasciare marginali riferimenti al folklore tradizionale (potrete anche incontrare una certa scimmietta…). A seconda di come affronterete questi imprevisti si andrà delineando il carattere del vostro personaggio: sarete degli impavidi spacconi, degli onesti gentiluomini o degli accorti serpenti a sonagli? Dimenticavo, il carattere si sviluppa su tre assi per cui correggo: Impavide serpi oneste, spacconi gentiluomini a sonagli o accorti sonagli impavidi?

La meccanica aggiunge una gradita componente ruolistica alla solita minestra rogue-like di Shigatari. Perseverando in una direzione lungo uno dei tre assi otterrete dei bonus che utilizzati con astuzia si riveleranno preziosissimi nel posticipare la vostra dipartita. Gli attributi del personaggio consentono un’ulteriore e accurata personalizzazione: vi affiderete alla forza bruta, alla velocità di esecuzione o alla capacità di anticipare le mosse avversarie?

Menzione d’onore per il modo in cui sono state implementate le diverse fighting stances: qui è stato fatto davvero un buon lavoro, segno che qualcuno ha sudato sotto il men prima di programmare. Guadagnare il tempo per posizionarsi nella guardia più efficace si rivelerà la chiave della vostra sopravvivenza contro i più esperti. Come ho detto chudan-no-kamae è la postura più equilibrata ma se vi scontrate con qualcuno che vi supera in maestria, passate in gedan, invitandolo a colpire kote, sollevate la lama deviando il colpo e segategli le mani di netto (kote-kaeshi-kote). Chi avete di fronte ha studiato mentalismo e vi legge nel pensiero? Celate la lama dietro di voi, waki-no-kamae rende nervoso anche l’avversario più perspicace.

La vita del samurai è appesa a un filo, si sa. Per questo nei momenti più edificanti vi fermerete a riflettere sull’ineffabile senso della vita e comporrete sublimi haiku che ispireranno le generazioni a venire, mediterete sotto l’acqua scosciante di una cascata o godrete dei servigi di una geisha per rinfrancare l’animo e affrontare sfide ancora più dure.

Nei vostri viaggi potrete anche rivelarvi una vera vergogna per il vostro clan e desiderare ardentemente di nascondere la faccia in un mucchio di sterco. La soluzione è fare seppuku. Non solo recupererete l’onore macchiato ma ciò consentirà anche di guadagnare il favore dei vostri antenati, sbloccando bonus pazzeschi con cui alla fine anche il più imbecille sarà in grado di finire il gioco (con la netta sensazione di avere barato a mio avviso).

Concludo ammettendo di non averlo ancora terminato. Nel duello con l’ultimo dei sette maestri ho sopravvalutato la mia velocità è ho appreso come si sente un tronco di faggio mentre attraversa una segheria. Inutile dire che ho lanciato immondi improperi per seicentosessantasei minuti nel cuore della notte tanto che Satana stesso ha chiamato la neuro.
Giocatelo, bestemmiate, godete.