Yomawari: Lost in the Dark è il terzo capitolo della saga horror di NIS, sviluppato e distribuito da NIS, disponibile su Nintendo Switch, PlayStation 4 e PC.
Provato su Nintendo Switch
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Quando farsi un giro di notte non è sempre una buona idea
Yomawari: Lost in the Dark è il terzo capitolo della saga Yomawari (lett. andare in giro di notte), e mantiene pressoché la stessa formula vista nei due precedenti capitoli. Stavolta la trama ruota attorno a una bambina delle elementari, Yuzu, che sembra vivere una situazione di forte disagio, con eventi di bullismo e altri tipi di violenza non del tutto chiari sin dall’inizio. Dopo aver vissuto alcune di queste esperienze in un prologo simile a un terrificante fever dream, Yuzu fugge dalla scuola e incontra una giovane ragazza che sembra conoscerla.
Questa dice alla piccola Yuzu che purtroppo anche lei è stata maledetta, e se non scioglierà la maledizione entro l’alba, finirà a vagare come gli altri mostri, spiriti e yokai che pullulano nella città. Il problema è che Yuzu sembra non ricordare nulla della ragazza, della maledizione, e in generale di cosa stia succedendo. Sarà questo lo scopo dell’avventura: raccogliere i sette ricordi principali, ricostruire la trama pezzo dopo pezzo, e sciogliere la terribile maledizione che ha colpito la protagonista.
Questa struttura piuttosto semplice permette una certa flessibilità di gioco che rende l’esplorazione estremamente godibile. Nei panni di Yuzu, basterà esplorare un po’ l’ampia mappa della città per incappare negli indizi che ci indicheranno la via verso una prossima possibile meta. La cittadina rurale giapponese è ampiamente calpestabile, con parchi, scuole, foreste di bambù, riva del fiume che attraversa le aree residenziali e altro ancora.
Infatti, in Yomawari: Lost in the Dark, l’esplorazione è piuttosto libera, e ci si può perdere spesso cercando indizi o investigando ogni angolo. I sette ricordi sono legati a sette diverse aree volgarmente definibili dungeon separati, con mappe, stanze e talvolta funzionalità diverse, che vanno completati per riappropriarsi di quel frammento di memoria necessario allo scopo della trama. Questi sono vari, ben pensati e realizzati, e offrono un’esperienza un po’ diversa a ogni ciclo. Questo non avviene senza frustrazioni però, poiché le sfide che apportano, soprattutto sotto forma di enigma, possono essere complesse a causa di morti improvvise che obbligano a ripetere segmenti di gioco
La mappa, inoltre, non viene aggiornata con le mappe che incontriamo ai diversi incroci della città, ma viene riempita a mano da Yuzu, mano mano che ci si fa strada nella città, elemento che mantiene chiaro al giocatore quanto abbia realmente visto e quanto no, con un gusto infantile che aumenta il livello di dissonanza tra i personaggi e gli eventi, aumentandone la tensione.
Le aree dungeon sono, in ottima parte, affrontabili in maniera del tutto libera, lasciando quindi al giocatore la scelta dell’ordine in cui affrontare e risolvere l’avventura, cosa che aiuta a immergersi nell’inquietante atmosfera cittadina. A proposito di questo, Yomawari: Lost in the Shadows consiglia fortemente al giocatore di usare le cuffie durante l’interezza del gioco, e dobbiamo confermare che seguire il consiglio è il modo migliore per giocarci.
Il sound design è ottimo, diremmo essenziale al fine dell’immersione. Dai passi di Yuzu che cambiano di forza, tipologia in base al tipo di terreno che si tocca, alle urla e ai versi degli spiriti che aumentano e diminuiscono di intensità e cambiano di direzione, il sottile soffio del vento o il battito del cuore nei momenti tesi, le cuffie conferiscono un’esperienza di gioco nettamente superiore. A proposito di questo, verrebbe da pensare che, anche visto il genere, questo titolo possa poggiarsi su facili jumpscare, e invece no. L’occasionale momento “buh” lo si trova qui e lì, ma è così sparsamente disseminato nell’avventura da avere successo, quando succede.
Lo hai sentito anche tu…?
Dall’altro lato della medaglia abbiamo però un’esplorazione talvolta lenta: Yuzu corre a una velocità quasi irritante, peraltro legata a una barra della resistenza fisica che viene condizionata dal suo stato di agitazione. In altre parole, quando proprio hai bisogno di fuggire da uno spirito che ti rincorre, il panico diminuirà drasticamente la capacità di fuggire, talvolta trasformando l’ansia in pura frustrazione.
Gimmick di questo terzo capitolo è chiudere gli occhi. Laddove nei primi due, nascondersi in vari luoghi era il modo principale di farsi strada tra gli spiriti, stavolta è spesso il contatto visivo, e quindi il chiudere gli occhi, a essere usato come meccanica centrale. Bisognerà farsi strada, passare attraverso, fermarsi completamente, mettendosi le mani sugli occhi. Questa ottima trovata dà un sapore lievemente diverso rispetto a quanto già visto, pur senza differenziarsi troppo.
Se vogliamo trovare un elemento di incertezza, questo è la mancanza di innovazione. Nonostante i diversi meriti che il titolo ha, obiettivamente non fa molto per proporsi come nuovo capitolo innovativo della saga, quanto piuttosto un nuovo capitolo “simile”. Se fosse stato una sorta di grande campagna DLC del secondo, non credo molti si sarebbero accorti della differenza, e questo è un pregio e un difetto insieme.
Allo stesso tempo, questo specifico gusto di esplorazione horror basata su atmosfera, immersione, suono e paura di natura psicologica e virtualmente priva di jumpscare, è qualcosa che non si esplora da molto tempo. Per paradossale che possa sembrare, la sensazione che si ha esplorando a lungo la città, in cerca di nuovi indizi, oggetti o eventi secondari, ricorda più da vicino la sensazione di esplorare le strade nebbiose di Silent Hill che altro.
La fine dell’anno è spesso costellata di uscite horror, ma l’esperienza enigmatica e priva di combattimenti di Yomawari: Lost in the Dark offre qualcosa di distintamente diverso da quanto visto in altri titolo del genere come Project Zero: Maiden of the Black Water, Shadow Corridor o ancora il più noto Resident Evil: VIllage, dove spesso si predilige un altro tipo di espediente horror.
A chi consigliamo Yomawari: Lost in the Dark?
Yomawari: Lost in the Dark è un ottimo gioco horror, nello stesso solco dei due capitoli precedenti, che dà grande importanza all’immersione, all’atmosfera, alla tensione psicologica. È quindi un’esperienza più intima e spaventosa di quanto possa inizialmente sembrare, soprattutto a causa dalla grafica chibi dei personaggi. Non lasciatevi ingannare, però, è tutto fuorché “carino”. La forte somiglianza con quanto già visto potrebbe non convincere dei nuovi giocatori a provarlo a prezzo pieno, ma per tutti gli altri, troverete un titolo molto valido.